Le caratteristiche territoriali del Centro Italia hanno determinato, nei secoli, l’affermazione di una popolazione di ovini che si è adattata alle condizioni pedoclimatiche attraverso la selezione naturale, le caratteristiche dell’allevamento e le norme dettate dall’Impero romano e dallo Stato Pontificio e, più recentemente per la stessa managerialità degli allevatori.
Tutto ciò ha costituito il presupposto perché in questo areale si sviluppassero, nel tempo, da una comune popolazione ovina autoctona a triplice attitudine, soggetti di taglia medio-pesante, realizzandosi uno stretto legame tra razza e ambiente di allevamento.
La popolazione autoctona è riuscita a sopravvivere dimostrando una migliore adattabilità all’ambiente ed una elevata capacità di utilizzazione di foraggi provenienti spesso da pascoli poveri.
Lo sviluppo di due tipologie di prodotto agnello “ leggero “ e “ pesante “ è associato anche a due tipologie di allevamento, quello transumante e quello stanziale.
La transumanza, alla quale è legata la produzione dell’agnello leggero, dovuto al fatto che molto spesso gli spostamenti non permettevano la crescita degli agnelli fino a tre mesi; l’erba era destinata alle sole pecore e comunque nelle grandi migrazioni non si potevano portare animali piccoli.
Mentre nella pratica dell’allevamento stanziale o nella costituzione di numerosi piccoli greggi presenti nelle mezzadrie, l’allevamento dell’agnello da destinarsi alla macellazione si è orientato verso la produzione di agnelli più pesanti, denominati anche “agnelloni”.
La pratica della transumanza non si è dimostrata particolarmente impegnativa per gli ovini allevati in questo areale, in quanto dotati di notevole rusticità.
Grazie a tali caratteri di rusticità e sobrietà conservati nel patrimonio genetico, queste pecore hanno costituito una base preziosa per la creazione di soggetti robusti e produttivi, ottenuti anche mediante opportuni incroci miglioratori che hanno portato ad una ulteriore specifica adattabilità.
Un evento da segnalare al fine del miglioramento qualitativo delle carni prodotte dalla popolazione ovina di allora, è stata l’introduzione di ovini Merinos
La Sopravissana è originaria da un incrocio, iniziato nella seconda metà del 1700 sotto la spinta della Camera Apostolica tra la pecora tradizionale di Visso, nei Monti Sibillini, e arieti merinos Rambouillet dell’ovile nazionale di Francia. Dopo successivi incroci, meticciamento e selezione – grazie alla collaborazione del Piscini e del Rossi – si è ottenuta questa popolazione di ovini, a triplice attitudine, il cui ceppo autoctono e 200 anni di “merinizzazione” ci fanno capire la perfetta armonia che esiste tra essa e l’ambiente in cui vive dando produzioni zootecniche di notevole valore.
Proprio i Fratelli Piscini rappresentano l’azienda che ha dato il maggior contributo alla costituzione della razza Sopravissana:
La Sopravissana si è diffusa in varie Regioni dell’Italia centrale: Umbria, Lazio, Marche, Toscana e Abruzzo, divenendo, in conseguenza di ciò, la protagonista di quei grandi spostamenti stagionali, la transumanza, migrando a primavera a centinaia di migliaia di capi dalla Campagna Romana sui Monti Sibillini e tante altre zone montuose del Centro Italia, per ridiscendere in autunno per svernare. Un razza che nel 1960 aveva raggiunto nell’areale una consistenza di oltre 1.200.000 capi.
Nella regione Abruzzo, la pastorizia risultava la più importante forma di allevamento zootecnico, con una predominanza quasi incontrastata della cosiddetta Gentile di Puglia che, costituitasi attorno alla metà del 1400 (grazie all’incrocio della razza locale “Carfagna”, tipica dell’Appennino, con arieti Merinos provenienti dalla Spagna (i primi incroci si fanno risalire a Federico II di Svevia), ebbe una diffusione, fin dai primi anni del secolo XVIII, oltre che nella regione omonima, anche in Abruzzo, sempre attraverso la transumanza, favorita dalla presenza di tratturi.
Le greggi di questa razza, in considerazione della topografia del territorio e della specializzazione produttiva, erano tipicamente transumanti e l’attitudine preminente risultava essere quella della lana che era la migliore, per qualità, di quelle prodotte in Italia.
Da quanto finora sopra descritto, si può rilevare come l’attuale popolazione appenninica del Centro Italia, costituita da diverse razze e tipi genetici, meticci e incroci, tragga la propria storia da numerosi eventi genetici ed ambientali, nonché condizionata dalle pratiche di allevamento realizzate nel corso dei secoli.
La razza Appenninica, in quanto tale, ha avuto origine già alla fine del XIX secolo attraverso gli incroci attuati dalla razza Bergamasca sulle diverse popolazioni appenniniche delle regioni Toscana, Umbria, Marche ed Emilia Romagna e successiva azione selettiva, mantenendo inalterata la rusticità della popolazione di partenza, rusticità che rappresenta una caratteristica imprescindibile per un allevamento di tipo brado e semi-brado.
Le industrie artigiane che lavoravano la lana si erano diffuse rapidamente al pari dell’allevamento ovino, ma la situazione cambiò quando l’artigianato cominciò a perdere terreno rispetto all’industria vera e propria con l’arrivo sul mercato di altre fibre naturali e sintetiche.
La popolazione ovina scese drasticamente di numero tanto che, alcune razze rischiavano l’estinzione perché moltissimi allevatori si erano orientati, sostituendo le vecchie razze, verso pecore a prevalente attitudine latte.
Invece un numero ridotto di allevatori del Centro Italia si sono“ rimboccati le maniche “ e passando, attraverso il meticciamento e la selezione hanno ottenuto un miglioramento qualitativo e quantitativo della carni agnello definito del centro Italia perché derivante dalle vecchie razze dell’areale e differenziandosi dagli ovini non originari dell’areale e dai quali si ottengono agnelli da latte, sia perché le pecore hanno una spiccata attitudine alla produzione del latte, sia perché l’agnello che viene immesso al commercio non è stato ancora svezzato.